Si fa causa a Wikimedia, il Web si difende

La causa per diffamazione che ha raggiunto Wikimedia Italia fa preoccupare la blogosfera, che ne esplora le possibili conseguenze in termini di libertà della Rete.

Si può far causa alla conoscenza?

Conoscenza e cause
Causa alla conoscenza? (Magazine.Liquida.it)

È questa la domanda che ci si pone rivedendo quanto successo Wikimedia Italia, l’associazione che per conto della Fondazione Wikimedia amministra, fra le altre cose, la versione in lingua italiana della celebre enciclopedia online.

Risale a luglio scorso, benché la notizia sia trapelata solo dopo, la causa per diffamazione che l’On. Antonio Angelucci e suo figlio Giampaolo hanno intentato nei confronti di Wikimedia chiedendo per danni una somma di ben 20 milioni di euro.
Una cifra sorprendente per diverse ragioni, partendo dalla sua sproporzione (per fare un paragone, le recenti querele di Berlusconi a Repubblica e L’Unità ammontano ad un totale di “soli” tre milioni di euro), che gli Angelucci giustificano sottolineando la grande visibilità del portale.

L’altra ragione che fa sembrare ancora più assurda la citazione per diffamazione è che, come sa chiunque conosca Wikipedia, i contenuti del sito sono interamente inseriti dai suoi stessi utenti per cui Wikimedia Italia non ha responsabilità alcuna su di essi.

Cosa dice la pagina principale di Wikipedia?

Questi fatti, facilmente controllabili nella pagina di disclaimer raggiungibile direttamente dalla pagina principale di Wikipedia, rappresentano uno spiraglio di ottimismo per molti blog che hanno commentato la notizia.

Wikipedia e info
Wikipedia, cosa c’è da sapere (Magazine.Liquida.it)

Per esempio, Biforcazione spiega perché sulla carta ci sarebbe poco di cui preoccuparsi:

Già da questo si può capire come la querela sia assolutamente infondata. Infatti, come spiegato sul sito di WikiMedia Italia, l’unico responsabile di quanto scritto è l’autore stesso; già a marzo la cassazione si era espressa in favore della responsabilità diretta dello scrivente e non del gestore del sito in un caso analogo. Ma anche fosse, il proprietario del sito è Wikimedia Foundation, fondazione no-profit statunitense, quindi un giudice italiano non avrebbe la competenza territoriale per procedere.

E allora? Finirà tutto nel nulla?
Lo spero. Così come spero che i due querelanti si ritrovino a pagare, oltre alle spese regali, anche i danni, di modo che serva di lezione a chiunque sia convinto che si possano applicare leggi antiquate al mondo di Internet.

C’è anche chi si infervora di più, per l’assurdità del fatto, ma anche – come fa notare Petrolio – perché anche questa causa, come quelle alla carta stampata, rappresenta un pericolo per la libertà d’informazione in Italia:

La deduzione è presto fatta. Ritenere il gestore del blog, sito, forum, wiki, responsabile delle affermazioni delle migliaia di passanti è come ritenere responsabile l’autista dell’autobus perché un passeggero fa proclami terroristici. La Rete NON è un giornale, dove le parole si pianificano PRIMA.

Ora, ne consegue che mentre la Repubblica si sente molto accusata di farabuttismo, migliaia di altre persone stanno seriamente tremando per la vera libertà di informazione e anche per la propria incolumità legale, senza che nessuno si precipiti in piazza a sventolare striscioni. Non per darvi l’idea, ma se qualcuno di voi qui sotto inneggia alla sovversione o insulta un politico, Blogosfere si becca una querela e io finisco in gattabuia. Non una gran prospettiva.

Qual è l’alternativa allora? Semplice: o cominciamo tutti a trascorrere 24 ore su 24 a cancellare e correggere commenti di deficienti (o finti tali…) su ogni blog, forum e wiki, oppure si chiude tutto e buonanotte. Chi resta aperto, non consente più commenti e sta ben attento a cosa dice e a come parla.

Una forma di intimidazione?

Tant’è che molti, come per esempio Il Giornale del Passatore, vedono la causa come una forma d’intimidazione nei confronti di chi si scambia liberamente informazioni sul Web:

Come sappiamo tutti, Wiki non è responsabile e tanto meno autore dei contenuti aggiunti dagli utenti, quindi l’azione legale ha poco senso, se non quello di far oscurare una pagina web (oscurata a scopo cautelativo, per qualche anno nessuno potrà accedervi e conoscerne i contenuti) e far perdere tempo e denaro ad una associazione no-profit (consigli di leggere il bell’articolo sul sito Wikipedia, anche per ulteriori riferimenti). Offre però un ulteriore spunto di riflessione sulla diffamazione come strumento di (in teoria) legalità in Italia. Naturalmente, lungi da me dire che esiste un problema di libertà di informazione (qualcuno sapeva di questa azione legale? Io ci son arrivato per caso), tutto va bene. La querela come fucile e il reato di diffamazione come munizioni.

La domanda a questo punto sorge spontanea: cosa c’era di tanto diffamatorio su Wikipedia da aver portato Angelucci padre e figlio a decidere di far causa?
La pagina Wiki di Antonio Angelucci è stata prontamente oscurata, ma il caso stesso ha avuto un effetto boomerang, perché non sono stati pochi i blogger che hanno voluto controllare quali potrebbero esser state le ragioni della causa, trovando naturalmente online numerosi articoli di stampa sulle vicende (legali e non) degli interessati. Leggiamo ad esempio su Minitrue – Ministero della verità:

Non ci è stato possibile esaminare la pagina di Wikimedia “incriminata” in quanto bloccata ed oscurata dalla stessa Wikimedia attraverso una Open-source Ticket Request ma, immaginiamo, avesse a che fare con le vicende giudiziarie degli Angelucci legate alle indagini per falso e truffa ai danni delle Asl del Lazio. Non escludiamo a priori che la pagina potesse contenere elementi diffamatori ma è la procedura intrapresa che lascia adito a dubbi. Perchè, secondo Frieda Brioschi, non vi è stato «Nessun contatto informale, nessun tentativo di percorrere le procedure su cui si fonda l’enciclopedia libera né di rintracciare e rivolgersi al singolo cittadino della Rete autore della sortita: gli attori si sono limitati a sporgere denuncia contro Wikimedia».

Gli Angelucci sono tra l’altro editori del quotidiano Libero. Hanno – udite, udite – una partecipazione al Riformista dopo averne avuta una, fino al 2000, anche nell’Unità. Una breve storia sul loro impero in questo articolo della Stampa.

Sempre sullo stesso sito troviamo ulteriori lumi su trascorsi che, se sono stati citati nella voce incriminata di Wikipedia, possono aver portato alla causa:

C’è inoltre da dire che Libero, come Libero Mercato ed il Riformista sono di proprietà della famiglia Angelucci, famiglia di cui abbiamo già parlato a proposito della richiesta di risarcimento per 20 milioni di euro da loro presentata contro la fondazione Wikimedia. Famiglia le cui vicende politico-giudiziarie sono descritte qua. Un documentato articolo del Corriere della Sera ricostruisce gli assetti societari ed editoriali degli Angelucci. E’ interessante notare che la società che raccoglie la pubblicità per le tre testate, la Visibilia Pubblicità s.r.l., è di proprietà per il 50% degli Angelucci e per il rimanente 50% di Daniela Santachè.

L’impatto sulla popolazione della Rete

È però questa nuova vicenda giudiziaria, quella contro Wikimedia Italia, che rischia di avere un maggior impatto sulla popolazione della Rete. Si tratta di un precedente pericoloso, peraltro in aperta contraddizione con la linea portata avanti da altri rappresentanti del PdL, di cui Angelucci padre è parlamentare. Oneweb 2.0 ci spiega perché:

Il caso attuale è di ben altra portata e, se portato avanti nelle aule di tribunale, potrebbe finire con l’avere pesanti conseguenze sulla gestione della versione italiana di Wikipedia, oltre che segnare una contraddizione con quanto sostenuto dall’on. Roberto Cassinelli, compagno di partito di Angelucci che, proprio in questo periodo, si sta battendo per far conoscere e adottare i 17 punti che compongono l’Internet Manifesto, in merito al nuovo modo di fare informazione e giornalismo nell’era di Internet.

Il comportamento degli accusatori è invece il contrario di quanto espresso nel suddetto Internet Manifesto, perché nella peggiore delle ipotesi rischia di portare a un “commissariamento” della Rete, dove per timore di essere citati – anche in maniera infondata come in questo caso – i gestori di qualsiasi sito, blog o forum che preveda la partecipazione dei lettori attraverso contributi o commenti dovranno vigilare attentamente su quanto pubblicato e talvolta autocensurarsi.

Potrebbe sembrare uno scenario orwelliano, ma stando al parere di Arturo Di Corinto riportato in Piovono Rane non siamo troppo lontani da una simile realtà:

Proposte come quella di chiudere interi siti contenenti una sola frase ingiuriosa, o quelle volte a impedire l’anonimato in rete, a trasformare i provider in sceriffi digitali per individuare i potenziali criminali del peer to peer, hanno trovato il proprio corollario nel “Ddl intercettazioni”. Ripescando una norma fascista, nella proposta del ministro Alfano c’è infatti un articolo volto a obbligare ogni sito informatico a rettificare entro 48 ore le proprie informazioni, pena una multa fino a 12.500 €, come accade per le testate giornalistiche registrate, ma senza che i siti ne abbiano le tutele e i finanziamenti, mettendo una pesante ipoteca al diritto, dovere, piacere, di produrre informazioni amatoriale. Il 14 settembre inoltre è stata depositata una proposta di legge a firma degli onorevoli Pecorella e Costa nel quale si manifesta l’intenzione di rendere integralmente applicabile a tutti i “siti internet aventi natura editoriale” l’attuale disciplina sulla stampa, assoggettandoli ai criteri di responsabilità previsti per le ipotesi di diffamazione a mezzo stampa o radiotelevisione.
Tradotto potrebbe significare che la causa da 20 milioni di euro intentata dal senatore_non_luogo_a_procedere_Angelucci contro Wikimedia Italia per “lesione dell’onore”, la farebbe chiudere.

Ci troviamo quindi di fronte a due visioni opposte della Rete all’interno di uno stesso partito (che tra l’altro è attualmente quello di maggioranza): una liberale che si ispira al manifesto nato in Germania e l’altra, invece, che vorrebbe regolamentare Internet nei modi appena descritti.

Le parole di Frieda Brioschi

Per gli internauti, indipendentemente dalla loro fede politica, non rimane che sperare nella prima di queste fazioni tenendo sempre a mente le parole di Frieda Brioschi (presidente di Wikimedia Italia che si è vista fare causa) in un’intervista di Democratici Digitali risalente a pochi giorni prima che uscisse la notizia:

DD: Wikipedia è nata in modo spontaneo e dal basso. Ora che è così importante non c’è il rischio che la “politica” cerchi di appropriarsene? Ci sono rischi in tale senso? In generale pensi che sia meglio che la politica si tenga al largo dalla rete o sarà inevitabile arrivare prima o poi ad una regolamentazione del web?

FB: Wikipedia è di tutti e di nessuno e non è possibile appropriarsene. Un tentativo di conquista la svuoterebbe (almeno in parte) della sua comunità, rendendola un guscio vuoto e senza più vita. Credo che i meccanismi di autoprotezione negli anni si siano affinati. Non è realistico pensare di tenere la politica fuori dalla rete, ma regolamentazione del web è un termine che mi fa rabbrividire. Non credo che Internet debba per forza essere il far west, ma non posso dimenticare tanti tentavi di imbrigliare la rete dentro schemi che non le sono propri.

Il sottotitolo di Wikipedia è “l’enciclopedia libera”. Speriamo possa rimanere tale il più a lungo possibile.

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