Freegan, come vivere eticamente di ciò che gli altri sprecano

La società dei consumi produce un’enorme quantità di sprechi in fatto di cibo, prodotti e beni. C’è chi ha deciso di vivere di ciò che la società ha sprecato: i freegan.

“Ridurre gli sprechi” è un concetto che comprende una grande quantità di sfumature. C’è chi ricicla, c’è chi sceglie prodotti senza packaging inutile, c’è chi usa prodotti alla spina. Poi ci sono gruppi di persone che hanno fatto un passo molto più radicale, e hanno deciso di vivere esclusivamente di quello che la società occidentale spreca. Sono i freegan.

pizza risparmio
Contro gli sprechi (Magazine.Liquida.it)

Le basi dell’alimentazione freegan sono semplici: nutrirsi di quello che viene gettato. Lo so cosa state pensando: li immaginate intenti a frugare nei cestini in cerca di un mezzo panino o una mela morsicata. Niente di più sbagliato. Nelle tonnellate di cibo che viene gettato ogni giorno, gli avanzi veri e propri sono una parte minima. Buona parte del cibo viene buttato ancora prima di finire su una tavola, e non perché è malsano, insalubre o scaduto.

La grande distribuzione getta ogni giorni enormi quantità di prodotti in base a decisioni di marketing: perché la confezione è ammaccata e non più attraente per la massaia, perché la frutta non ha risponde agli standard estetici, perché l’etichetta riporta offerte non più attive. Tutto cibo ancora perfettamente commestibile, solo non più rispondente a criteri commerciali. Ed è da questa fonte che si riforniscono i freegan. E non solo cibo: vestiti, arredamento, persino elettronica. L’abbiamo detto: l’universo dello spreco è molto più variegato di quello che si pensi.

Una scelta di vita

Vediamo assieme come i blog commentano questa scelta di vita.

risparmio cibo
Cibo contro lo spreco (Magazine.Liquida.it)

Innanzitutto il nome. Spiega News Europa:

Vera, André, João e Ana sono più che riciclatori, sono freegani. Arredano la casa, si vestono e si nutrono di oggetti e prodotti abbandonati. Raccolgono i “rifiuti degli altri” non per questioni economiche, ma perché non sopportano lo spreco.

Senza conoscere il termine “freegan” che deriva dalla fusione delle parole “free” e vegan (persone che non mangiano tutto ciò che proviene dagli animali”, il musicista Joãodice di non comprare vestiti nuovi da anni e che basta una visita settimanale ai supermercati e mercati di Lisbona per riempire la dispensa.

Queste visite però non servono a comprare, ma per raccogliere alimenti dai contenitori, una pratica che ha conosciuto otto anni fa in Olanda.

La rete ha dato una grossa mano alla diffusione del movimento, attraverso il sito freegan.info, come sottolinea Indebitati:

Come spiega il sito freegan.info – strategie per un vivere sostenibile contro il capitalismo “Freegan sono persone che utilizzano sistemi alternativi per vivere, basati sulla limitata partecipazione all’economia convenzionale e sul un minimo impiego delle risorse”. Tra le altre cose il sito riporta informazioni sul dove e quando fare rifornimenti. Esempio: a Brooklyn, domenica e giovedì sera nei pressi di tale store si può reperire gratuitamente verdura fresca. A Manhattan, nell’Upper West Side, vicino a quella panetteria si trovano pane e sandwiches. Qualche isolato più in là c’è un supermercato kasher, l’ideale per chi cerca formaggio e maccheroni. Senza sprecare nulla e senza spendere un dollaro.

Dall’esperienza di uno degli attivisti freegan più noti, Tristam Stuart, è nato un libro che parla proprio degli sprechi della società occidentale. Ne scrive Libriblog:

Tristram ha cominciato a fare la spesa recuperando il cibo abbandonato nei cassonetti della spazzatura dei supermercati, scoprendo una realtà sconvolgente: la filiera alimentare provoca uno spreco fra il 30% e il 40% del cibo prodotto, quando ancora è perfettamente commestibile. Seguendo un processo automatico, dettato proprio dalla società consumistica, il cibo vicino alla data di scadenza, ancora perfettamente integro viene eliminato dalla catena produttiva e distributiva, quando in realtà sarebbe ancora perfettamente consumabile, utilizzabile per creare gustosissime ricette. Il tutto considerando che al mondo ci sono un miliardo e venti milioni di persone che soffrono di mal nutrizione o denutrizione e che rischiano la vita per la mancanza di risorse.

Cibo gettato potrebbe nutrire oltre 5000 persone

Tristram è noto, oltre che per il libro, per avere organizzato a Londra un evento di dimensioni imponenti: nutrire oltre 5000 persone col cibo gettato dalla grande distribuzione. Racconta Made in Kitchen:

Oggi parliamo di un’iniziativa svoltasi nel mese di dicembre a Londra, più precisamente in Trafalgar Square, dal titolo: Feeding the 5K.

Si tratta di un pranzo per 5.000 persone realizzato solamente con il cibo recuperato che altrimenti sarebbe stato buttato.

L’idea alla base dell’iniziativa è che il bene comune parte del basso (dai bidoni della spazzatura in effetti), riutilizzato gli scarti di qualità dei ricchi si possono sostentare i più poveri ed evitare gli sprechi di cibo.

Dietro questo evento c’è l’attivista inglese Tristram Stuart che da anni è promotore di iniziative sul riciclo dei cibi contenuti nei bidoni della spazzatura.

Quest’iniziativa è nata per sensibilizzare la gente comune verso il tema del possesso irrazionale di cibo non necessario, quindi superfluo e del suo inevitabile spreco, per arrivare a una visione di sostenibilità e partecipazione collettiva.

Tristram stesso racconta in un’intervista l’evento di Trafalga. Riporta Katerpillar:

Mi racconta com’è andata a Trafalgar square. “Abbiamo portato una quantità di cibo sufficiente per cinquemila persone. Di solito, passo gran parte del mio tempo a spiegare perché è importante non sprecare gli alimenti e quali sono i modi migliori per farlo. Ma quel giorno non ho dovuto dire niente. Le persone facevano la coda e, quando toccava a loro, dicevano frasi del tipo: ‘Perché l’hanno buttato? Non ha niente di strano’. Be’, di fronte a commenti del genere non c’era niente da aggiungere”.
Anche alla radio hanno detto che il cibo era fantastico. “Davvero?”, continua Stuart. “Non avrei mai immaginato che tutto potesse essere così magico. La fila sembrava ininita: faceva tutto il giro della piazza”.
Passiamo a parlare di Sprechi, un libro sconvolgente anche se, tutto sommato, basato su un’idea semplice. Stuart usa i dati ottenuti dall’esame di duemila cassonetti di abitazioni private, efettuato dal Waste and resources action programme, per spiegare perché produciamo troppo cibo e ne gettiamo via enormi quantità ancora intatte.
Il pane e i prodotti da forno buttati ogni anno in Gran Bretagna salverebbero dalla fame 26 milioni di persone. Ogni anno gli inglesi sprecano 2,6 miliardi di fette di pane, 484 milioni di vasetti di yogurt ancora sigillati e 1,6 miliardi di mele. Complessivamente più del 30 per cento del cibo comprato finisce nella spazzatura. La ragione, spiega Stuart nel libro, sta nell’inclinazione dell’essere umano agli eccessi. “Il surplus ha rappresentato la base del successo umano per diecimila anni”, spiega. Una tribù con cibo in eccesso diventa più forte e più grande. Gli esseri umani hanno sempre pensato che avere troppo è meglio che non avere abbastanza.
Oggi è lo stesso. “Facciamo un’ipotesi”, dice Stuart. “Un prodotto costa 50 centesimi di euro al produttore ed è venduto a un euro. Dal punto di vista inanziario è più conveniente eccedere nelle scorte e perdere, al massimo, il prezzo di costo, piuttosto che approvvigionarsi di una quantità insuficiente e perdere…”.
“I ricavi della vendita?”.
“Esatto. La vendita. È una strada obbligata per qualunque distributore. Ma il problema è l’approvvigionamento eccessivo per evitare il rischio di perdere vendite. In altre parole, si riempiono gli scaffali per offrire un’immagine di abbondanza. I clienti se l’aspettano. Sono abituati così. È un fenomeno recente: negli anni ottanta capitava ancora di vedere degli scafali vuoti nei negozi. Ma ora l’esposizione del cibo è diventata una forma di ostentazione per impressionare i clienti”.

Ovviamente gli sprechi si situano su molti livelli, ma quelli della grande distribuzione sono quelli su cui i consumatori possono agire con le loro scelte. Commenta Dissapore:

Reparto frutta, adesso: i sacchetti neri traboccano di banane fuori mercato perché troppo diritte e arance gettate via per controllare i prezzi: troppa produzione incide sul valore. Dal magazzino all’immondizia, e da lì nel mio sacchetto della spesa!
Io per oggi ho finito la spesa, se volete cominciate voi, tanto ce n’è per tutti. Non ci credete?

Con il cibo prodotto ogni anno nel mondo, si potrebbero sfamare 12 miliardi di persone, il doppio della popolazione mondiale, mentre un miliardo di persone muore silenziosamente di fame. È questo il vero delirio: l’uomo inquina, avvelena, sfrutta e distrugge risorse che finiranno sprecate in un sacco d’immondizia.

Dati impressionanti

I dati sono impressionanti, come ricorda Nella botte piccola:

Pensate che nel Regno Unito si getta un quarto del cibo acquistato, 480 milioni di yogurt, il 40% dell’insalata; l’azienda fornitrice del pane per i panini di Marks & Spencer elimina quotidianamente 13 mila fette di pane; i supermercati rifiutano il 40% di frutta e verdura per motivi meramente estetici.

Sono numeri che non possono lasciare indifferenti, anche perchè potremmo facilmente iniziare a ridurre gli sprechi dal nostro piccolo: la tradizione culinaria italiana è piena di gustose ricette di recupero, ideate quando eravamo costretti a gestire le risorse alimentari con più lungimiranza.

Ma non si tratta solo degli sprechi di cibo. Tutti i prodotti della nostra cultura spesso finiscono il loro ciclo d’uso molto prima di essere realmente guasti, rotti o inutilizzabili. Scrive Marrai a Fura:

Anneli Rufus e Kristan Lawson sono una coppia americana benestante che vive in California in una bella casa, grande e ben arredata. Ma hanno una particolarità: tutto ciò che possiedono e utilizzano è già stato posseduto e utilizzato da qualcuno.

[…] La loro è una vera e propria filosofia di vita, che parte dal rispetto per l’ambiente e per gli altri e ha un obiettivo: salvare il mondo (a piccoli passi e per strada) recuperando, riciclando e ricostruendo.

[..] Gli scavengers hanno pubblicato un loro manifesto, diventato poi un libro che spiega i semplici passi da fare per essere dei frugatori eccellenti.

Ecco i punti del loro codice etico, da seguire se si vuole applicare la filosofia scavengers alla propria quotidianità:

1 ► Non rubare

Non si prendono le cose altrui, ma si recupera ciò che gli altri non usano, non vogliono o ignorano. Rubare non solo è illegale, ma mina i principi stessi dello scavenging, confermando i pregiudizi che molti hanno nei confronti di chi ha sposato questa filosofia.

2 ► Non danneggiare l’ambiente

Aiutare la Terra è lo scopo della filosofia scavengers, perciò ogni cosa che vada in senso contrario non è ben accetto.

3 ► Vivere comodamente, senza negarsi il necessario per dimostrare le proprie credenziali scavenging

Tutto ciò che si fa, lo si deve fare perchè si è convinti e perchè è piacevole farlo. Non dovete dimostrare niente a nessuno: se l’idea di mangiare cibo preso dalla spazzatura vi nausea, lasciate perdere!

4 ► Non vantarsi e non intimidire gli altri spiegando la filosofia scavenging

Anche se sei orgoglioso del tuo stile di vita, non diventare uno “snob scavenging”. Non devi convertire nessuno: pittosto che insistere, dai il buon esempio.

Conclude Intervistemadyur:

Quindi tutti a pranzo tra i rifiuti?

“Assolutamente no: io non voglio incoraggiare le persone a fare quello che faccio io. Semmai il contrario: rendere impossibile il rovistare tra i rifiuti. Perché questo significherebbe che tutti gli sprechi sono stati eliminati”

Rovistare tra i rifiuti non la disgusta?

“Sa l’unica cosa che mi disgusta qual è? Vedere tonnellate di prodotti alimentari assolutamente commestibili gettate via. In una famiglia media del Nord Italia, dove si usano bidoni per i rifiuti organici , ogni persona produce 73 Kg di avanzi alimentari . Nessuno sa quanta parte di questi rifiuti sia commestibile. Ma confrontando questo dato con quelli di altri Paesi come il Regno Unito, la cifra potrebbe essere circa l’80% del totale. Ciò vorrebbe dire che gli italiani sprecano 60 Kg di cibo a persona ogni anno. Esclusi gli sprechi alimentari di mense, ristoranti , fast food e scuole”

Meno sprechi, più benefici. Quali?

“I Paesi ricchi sprecano da un terzo al 50% di tutto il cobo che viene prodotto. Come se il cibo fosse una risorsa infinita. Non è così. Per produrre cibo si erodono risorse : terra , acqua, combustibili. Con impianti devastanti sull’ambiente : dalle imponenti deforestazioni in Sud America e nel Sud Est asiatico all’impoverimento dei terreni a causa dell’agricoltura intensiva , allo spreco di acqua, alle emissioni di Co2 legate al trasporto , alla produzione , e alla decomposizione del cibo . Tutto documentato nel libro “Sprechi”

Chi c’è al top della blacklist degli sprechi?

“Gli sprechi ci sono lungo tutta la filiera alimentare. Mi sono focalizzato sui supermercati perché hanno un potere dominante, soprattutto nei paesi più ricchi. Loro sono colpevoli: ma tocca a noi cambiare le cose”

Come?

“Cominciando per esempio dalla cosmetica di frutta e verdura : le sembra impossibile imporre che siano di misura e forma uniformi? Questo obbliga i coltivatori a disfarsi di forti percentuali dei loro raccolti. Noi consumatori abbiamo il potere di questa pratica. Possiamo chiedere di cominciare a vedere sugli scaffali meno frutta meno bella , ma sempre commestibile. Più saremo, più saranno obbligati ad ascoltare la nostra voce”

Insomma, il freeganism è certo una scelta molto netta, e non in molti sarebbero pronti ad abbracciarla, ma è sicuramente utile riflettere su esperienze di questo genere, per imparare a ridurre gli sprechi e ad avere un rapporto diverso con gli oggetti, per evitare che arrivino ai cassonetti prima del tempo.

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